De Meo: "I cinesi cacciano come lupi. L'Europa ha la responsabilità di 13 milioni lavoratori"

De Meo: "I cinesi cacciano come lupi. L'Europa ha la responsabilità di 13 milioni lavoratori"

Il CEO Renault ha parlato al Salone dell'automobile di Parigi sulla situazione dell'e-mobility in Italia e nel Vecchio Continente: ecco il suo intervento

di Redazione

14.10.2024 ( Aggiornata il 14.10.2024 18:48 )

Al Salone dell'Automobile di Parigi è intervenuto Luca de Meo, CEO Renault, il quale ha dibattuto a lungo sulla situazione attuale dell'automotive che vede la Cina colpita dai dazi per la produzione di auto elettriche.“Ci sono delle regole, si chiamano WTO e sono state firmate da tutti. L’Unione Europea ha scoperto il segreto di Pulcinella, ossia che alcune aziende hanno avuto un supporto importante da parte del governo cinese per accelerare l’elettrico. Ci sono regole da seguire, da un punto di vista di business non ho niente da commentare, questo è un processo ormai quasi giudiziario. La vera questione per noi è come possiamo cooperare e competere con i cinesi, che attualmente hanno una generazione di vantaggio. Dobbiamo essere sul pezzo della tecnologia. Il problema è di come ci organizziamo. Avete sicuramente letto il rapporto Draghi. Dice esattamente le stesse cose che dico io, ossia che serve un lavoro di squadra. I cinesi cacciano come lupi in branco, questa è la verità, noi invece ci muoviamo individualmente, ognuno con la sua opinione, ogni Paese con un approccio diverso. Dobbiamo trovare la maniera di lavorare assieme, perché se altrimenti ci giochiamo il 10% del Pil europeo, e se cresci dell’1% all’anno ci metti dieci anni per recuperarlo. Questi sono i fatti. L'automobile è la base dell'industria europea. I cinesi sono in vantaggio, ma ricordate che in Cina c’è un sistema sociale diverso dal nostro, che spero non vogliamo mettere in discussione. Quelli che hanno spinto sull’elettrico ci chiedono di fare macchine che costano meno delle termiche che produciamo da 150 anni. In Cina c’è gente che lavora 70 ore alla settimana. Volete che facciamo la stessa cosa anche qua? Perché questa è una delle ragioni per cui costano meno, e ce ne sono altre, per esempio le nostre regole antitrust. Insomma, ci sono diversi motivi per cui i costruttori cinesi hanno un certo vantaggio. Detto ciò, se si guardano i numeri, fanno il 3% del mercato europeo. Di cosa stiamo parlando? Come industria ne abbiamo già passate tante. Venire in Europa non è una passeggiata di salute: abbiamo avuto gli americani, i giapponesi, i coreani, e se si sommano tutti assieme quanto fanno? Il 25% del mercato europeo? Non è che fanno il 95%".

“Un conto è avere timore reverenziale della competizione, un conto è andare nel panico. Sono due cose diverse. Noi non siamo nel panico. Quello che ci fa più paura in questo momento è che ci viene richiesta una velocità di conversione che rischia di spaccare tutto il sistema, quando noi abbiamo la responsabilità di 13 milioni di posti di lavoro in Europa: 13 milioni di persone sono una nazione. E noi continuiamo a dire che ci mettiamo i soldi, che lavoriamo 14 ore al giorno, ma non ci mettete davanti a un muro che arriva a 250 km all'ora, perché è pericoloso. In Europa non c'è un progetto di gigafactory, perché ci vogliono anni prima che diventi efficiente. Non c'è nessun progetto di chimica in Europa, perché la chimica puzza, nessuno la vuole. Non c’è nessuno posizionato strategicamente per garantire alle Case un prezzo competitivo per litio, manganese, nickel e cose del genere, che per metà è in mano ai cinesi. Possibile che dobbiamo essere gli unici idioti che devono pagare le multe? Se questa è la regola ci adatteremo, andremo a comprare i crediti dalla BYD o dalla Tesla, che fa praticamente la metà del suo profitto vendendo crediti agli altri, andremo a fare quelli che chiamano 'prezzi aggressivi' sull'elettrico, così ammazziamo il bambino nella culla e tra cinque anni non ci sarà più business elettrico in Europa. Oppure fermiamo la produzione, e chiudiamo dieci fabbriche. Abbiamo bisogno di soluzioni adesso, in questo momento. Non è che non dobbiamo parlare di una revisione degli obiettivi del 2035, ma per quelli c’è tempo, oggi abbiamo altri problemi. Lavoriamo per raggiungere tutti i target e se non riusciremo compreremo crediti dai costruttori di elettriche stranieri, se è questo che vuole l’Europa. Capire che cosa succederà l’anno prossimo è molto urgente perché ora stiamo ricevendo gli orini per le auto che consegnerò nel 2025, a proposito delle multe salate a coloro che non riusciranno a ridurre le emissioni medie di anidride carbonica dai 116 g/km del 2024 a poco meno di 94 grammi", ha concluso il CEO italiano.

Le citycar elettriche

Non è mancata anche una riflessione riguardo l'ipotesi di realizzare una società europea che miri sulla produzione di citycar elettriche. De Meo, ha esordito dicendo che “non sarebbe neppure la prima volta: quand’ero in Toyota facemmo un progetto con PSA per produrre le Aygo, le C1 e le 107. Quel progetto non andò male, ogni brand vendeva 100 mila unità della sua auto. Quella che ho proposto a Volkswagen non è poi chissà che idea originale, ma continuo a proporla. Abbiamo la capacità produttiva, al momento in Europa non esiste una piattaforma competitiva come la nostra e quindi estendo l’invito ad altri, per fare un modello insieme".

Ha poi proseguito: “Abbiamo presentato uno studio sulle auto più piccole, fatto tra l’altro da un ricercatore italiano che lavora in Francia, che dimostra che le citycar sono l’uovo di Colombo. Non ci vuole un Nobel in fisica per capire che che per muovere un oggetto che pesa una tonnellata ci vuole la metà dell'energia (qualsiasi essa sia) di un oggetto che ne pesa due. Tra l’altro, nel caso dell’elettrico, puoi fare batterie più compatte e quindi una macchina che costa meno rispetto a una con motore termico. Oltre alle citycar ci sono anche i veicoli per le consegne dell’ultimo miglio, sono i due segmenti naturali per la crescita dell’elettrico".

Agire con criteri diversi

Il CEO Renault ha poi espresso la sua idea riguardo il metodo con cui ci si dovrebbe approcciare al settore: “Abbiamo abbandonato il settore delle piccole, facciamo macchine più ricche, più complesse, più pesanti... Dovremmo invece creare una nuova categoria, o differenziare la regolamentazione tra auto grandi e piccole, come è stato fatto in Giappone con le kei car. È una storia che racconto spesso, ma penso di avere una certa legittimità a parlarne, quando sono arrivato in Fiat abbiamo fatto la 500, qualcosa di questo segmento la conosco. Non dobbiamo scendere a compromessi sulla sicurezza, non ho dubbi a riguardo, ma guardate i test di sicurezza, con una Mercedes Classe S e un metro e mezzo di cofano è facile prendere cinque stelle, se hai un cofano di 20 centimetri è più complicato. Le regole andrebbero adattate alle condizioni di utilizzo di questo tipo di veicoli".

"Stiamo entrando in un mondo dove la domanda è molto volatile, viviamo in un mondo dove la tecnologia è evolutiva. Prima gestivamo una domanda relativamente stabile, adesso occorre essere più veloci, avere organizzazioni compatte, agili, capaci di resistere a queste continue oscillazioni, essere orientati all’innovazione. Non si ragiona più in un’ottica lineare, ma con una logica in cui si mettono sul piatto tre o quattro scenari possibili, sapendo che magari solo uno funzionerà. È un cambio di paradigma totale: tutte le aziende che puntano solo ai numeri, concentrandosi solo su quelle che chiamano sinergie, avranno dei problemi. Per assurdo, guardando al gruppo Renault, la profonda crisi che abbiamo vissuto quattro anni fa, e che ci è quasi costata la vita, si è trasformata nell’opportunità di immaginare un'azienda molto più adatta di molte altre ai tempi che viviamo”, ha continuato, per poi virare sulla collaborazione con Nissan, dicendo che questo è a tutti gli effetti "un matrimonio più moderno, dove ognuno fa la sua vita, nel quale la passione giovanile è venuta meno", ma nel quale si è "d'accordo su delle cose che fa senso fare insieme. La Nissan si compra la base della Renault 5 per fare la Micra, la Mitsubishi fa la stessa cosa... Se un progetto ha senso per due aziende lo si fa, siamo molto più operativi, ma al tempo stesso rimaniamo liberi di collaborare con altri".

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