Nel 2005 abbiamo messo alla prova la potentissima e supercar americana con cilindrata da oltre 8 litri e un cambio davvero unico: ecco la nostra prova nostalgia della Dodge Viper SRT-10
20.07.2022 09:33
A quanti fossero ancora un po’ incerti sulle forme della nuova Viper e non si accontentassero dei suoi plus tecnologici, basterà guidarla per sentirsi finalmente appagati. La libido viene allo scoperto fin dalla messa in moto. A differenza di quanto fatto sulla GTS, sulla SRT-10 è stato mantenuto lo schema originario dell’impianto di scarico previsto negli Stati Uniti: due tubi, uno per lato, che corrono sotto il battitacco e sfociano poco prima della ruota posteriore. Vi lasciamo immaginare la goduria di avere solo mezzo metro più in basso dell’orecchio sinistro il sound del V10 8.3.
La procedura di guida per i primi chilometri, quindi, è tassativamente quella di avere lo stereo spento ed entrambi i finestrini abbassati! Al minimo, una volta messo in moto il V10, il regime è irregolare e basta sfiorare e rilasciare dolcemente il gas per un bell’effetto botti di capodanno, ovviamente con le dovute proporzioni. Ma il sound della Viper, specie quando si affonda tutto, è realmente lacerante e uno dei più coinvolgenti in assoluto fra le sportive di serie. Proprio i primissimi metri ti fanno capire di che pasta è fatta la vettura. È una muscle car e in quanto tale richiede un po’ di “muscoli” anche da parte del guidatore. Il cambio, meccanico a sei rapporti, richiede un bell’impegno fisico e una certa decisione. Anche la frizione è bella dura e va modulata con attenzione nelle partenze, ma questo a causa di una prima marcia lunghissima (99,6 km/h effettivi): sulla viabilità ordinaria potete dunque beccarvi due punti sulla patente prima ancora di avere messo la seconda! In città, poi, si è quasi sempre in prima marcia, poiché il V10 è elastico ma non gradisce troppo viaggiare al di sotto dei 1.500 giri, pena strappi e irregolarità d’erogazione.
Superata la soglia dei 1.500, fino a 5.600 avete a disposizione almeno 65 kgm (72,6 il picco massimo). Sono regimi da motore Diesel quelli del 10 cilindri americano. E di americano c’è anche la spaziatura del cambio, con quinta (di potenza) e sesta (di riposo) davvero eterne: in autostrada, a 130 all’ora in sesta, rischiate di far spegnere il motore, che riposa a circa 1.500 giri. È questo che fa arrabbiare della Viper. Il non poter stendere a dovere tutte le marce su strade aperte al traffico. Il dover smorzare una bella accelerazione prima-seconda-terza spiaccicati al sedile perché in terza si arriva già a 203,4 km/h effettivi.
Si desidera quindi la pista, ma anche lì a meno che non siate a Nardò metterete al massimo la quarta, e proprio dalla pista arrivano le sensazioni più belle, si percepiscono i netti miglioramenti rispetto alla precedente Viper e si comprende che le sportive americane più recenti sono sempre più vicine alle europee in quanto a dinamismo. La Viper è piuttosto agile nei cambi di direzione e negli inserimenti in curva e soprattutto dà più fiducia rispetto a prima se spinta al limite. Perché meno sensibile ai trasferimenti di carico e più facile da gestire in caso di sovrasterzo. Caso non affatto raro vista cavalleria, coppia e assenza di ogni controllo elettronico, ma appunto ben gestibile grazie a uno sterzo preciso e diretto e alla maggiore stabilità generale del corpo vettura. Si preferirebbe soltanto un differenziale autobloccante più incisivo, per limitare maggiormente il pattinamento della ruota interna alla curva. Dà poi fiducia, in particolare, l’impianto frenante con ABS: grazie ai quattro dischi da 355 mm gli spazi d’arresto sono da record (85,7 metri a 160 km/h) e la resistenza all’affaticamento è ottima.
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