Vera protagonista sui muri delle camerette di tutti i ragazzini cresciuti negli anni ‘80, la Ferrari Testarossa è un’auto che non ha bisogno di grandi presentazioni. La sua eclatante presenza scenica è rimasta inalterata negli anni e, a quasi 40 dalla sua presentazione, riesce ancora a far strabuzzare gli occhi grazie ad un design audace e inossidabile. Figlia di un’epoca per molti indimenticabile, la Testarossa è ancora una di quelle Rosse che si possono trovare a “buon mercato” (con un po’ di fortuna si riesce a stare sotto i 100.000 euro) e che, potendosela permettere, non può mancare nella collezione di qualunque appassionato di auto storiche.
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La necessità che si fa virtù
Nata nel 1984, la Testarossa portava con sé una lunga serie di novità e “chicche” che rendono la sua storia degna di essere raccontata: prima auto nella storia del Cavallino a non portare un numero nel nome, la Testarossa era la discendente diretta della bella 512BB e ne riprendeva quindi lo schema meccanico andando a migliorarlo laddove si poteva. Il principale problema da risolvere era quello del surriscaldamento all’interno dell’abitacolo ed il poco spazio per i bagagli, causato dai radiatori che sulla 512 (BB e BBi) erano posti all’anteriore, scaricando aria calda verso l’abitacolo e sacrificando lo spazio per valigie o borse. Ecco quindi che, come consuetudine in casa Ferrari, direttamente dal mondo della F1 i radiatori vennero spostati ai lati della vettura, subito davanti al motore, in modo da andare letteralmente a “svuotare” tutto il volume anteriore dalla loro presenza, obbligando però i designer a fare i conti con un volume posteriore molto più largo del solito. Il problema venne risolto dal genio di Pininfarina, che scolpì le massicce fiancate della Testarossa rendendole un pezzo di storia del design automobilistico.
Motore e prestazioni
A spingere in avanti questa scultura su ruote pensava un 12 cilindri a V di 180° (non provate a chiamarlo boxer!), primo dodici cilindri Ferrari stradale dotato delle 4 valvole per cilindro: il tutto per 390 cv a 6.300 ululanti giri. Le curiosità però non finiscono qui: le prime serie della Testarossa - le famose monospecchio - vennero infatti dotate di cerchioni (i “monodado”) in lega di magnesio con il particolare diametro di 16,33 pollici. Non 16, non 17 ma 16,33. Questo perché la Testarossa montava di serie le famose Michelin TRX, sviluppate specificatamente per lei e per i suoi cerchi e introvabili al giorno d’oggi. Il problema, da tenere a mente in fase di acquisto, si risolve con le Testarossa delle serie successive alla prima, saggiamente dotate di cerchi da diametro standard di 16”. Ma non è tutto: esclusiva della Testarossa (fino alla sua ultima evoluzione 512M) è il cambio dog-leg, ovvero un 5 marce con la prima indietro. La motivazione pratica di questa scelta è data dal fatto che la prima marcia, in queste auto fatte per correre, si usa meno che le altre (in teoria solo per partire) e questa conformazione permette una cambiata più veloce tra le marce più sfruttabili di questa vettura, come i passaggi dalla 2ª alla 3ª o dalla 4ª alla 5ª.
Esteticamente molto desiderabile, la Testarossa delude un po’ le aspettative una volta al volante: se nel 1984 questa era la vettura di serie più potente del mondo ed era capace di prestazioni di tutto rispetto, oggi appare un po’ impacciata. Abituati come siamo ai moderni e scalpitanti motori turbo, il melodioso V12 della Testarossa fa un po’ fatica ad impressionare. Certo, il motore regala un sound eccezionale (esaltato dagli scarichi Tubi Style installati su quella della prova) e al salire di giri il tono grave e cupo si trasforma in un latrato, alto ed acuto, tuttavia l’accelerazione non fa da giusto supporto al crescere di questa sinfonia meccanica. L’auto va veloce, ma la rotondità nell’erogazione dei suoi 390 cv, un corpo vettura pesante e largo e delle sospensioni un po’ morbide non fanno da giusto contraltare ad un’auto di questa forma. Una forma che però fa perdonare qualunque cosa: può andare come vuole ma, una volta parcheggiata, non si potrà non rivolgerle un ultimo (ma anche due, tre), innamorato, sguardo.
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