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Alfa Romeo Alfasud: la sua storia

La strategia era vantaggiosa sotto tutti i punti di vista. Costruire un nuovo modello frutto del lavoro di alcune tra le menti migliori dell'epoca, e farlo in un nuovo stabilimento, da costruire ex novo nel sud Italia, così da accedere ai fondi che lo Stato erogava a chi avesse promosso l'industrializzazione del Mezzogiorno. I numeri di vendita avrebbero fatto il resto.

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La storia dell'Alfa Romeo più venduta di sempre (oltre 1 milione e 17mila esemplari acquistati) è correlata inevitabilmente al "piano" orchestrato dall'allora presidente Giuseppe Luraghi e alla fabbrica di Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli, destinata ad accogliere la produzione di un modello che avrebbe segnato la storia socio-culturale dell'Italia: l'Alfasud.

DEBUTTA IL BOXER ALFA

La progetta Rudolf Hrushka, padre della Giulietta Sprint, insieme a Carlo Chiti, all'epoca a capo di Autodelta, reparto corse del Biscione. Al design ci pensa un giovane Giorgetto Giugiaro. La collaborazione tra tre delle più grandi figure dell'automobilismo non può che far nascere una vettura contenente alcune soluzioni tecnico-meccaniche evolute per l'epoca. Berlina due volumi e quattro porte, pratica e spaziosissima all'interno, motorizzata con il primo boxer della storia Alfa Romeo, 4 cilindri e raffreddato ad acqua, per 63 CV a 6.000 giri, non pochi per l'epoca.

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SCIOPERI E SCARSA QUALITà DEL LAVORO: LE CRITICHE

Alfasud viene presentata al Salone di Torino del 1971, e dall'anno successivo viene lanciata sul mercato a prezzo di listino di 1.420.000 lire. Piace a guidatori e critica specializzata, convinta soprattutto dall'abitabilità degli interni. Iniziano poi a sorgere in breve tempo i primi problemi. La macchina infatti era stata assemblata alla fine degli anni Sessanta, in un contesto socio-culturale di ribellione diffuso anche in Italia. I frequenti scioperi degli operai di Pomigliano, uniti all'assenteismo e, in certi casi, alla scarsa conoscenza del prodotto automotive da parte di alcuni, produce difetti evidenti come assemblamenti fatti male (in alcuni casi parliamo proprio di bulloni non avvitati bene), ossidazione delle lamiere o la ruggine, che presto inizia ad apparire sui parafanghi.

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Tutto ciò porta inevitabilmente a delle critiche e agli sfottò. L'Alfasud inizia ad essere vista come l'auto dello "sfigato", subendo un grave danno d'immagine. Aggiungiamo inoltre che nel 1981 Carlo Verdone la utilizza nel suo "Bianco, rosso e verdone", rendendola la compagna di (dis)avventure dello sfortunatissimo personaggio di Pasquale Amitrano.

LE ALTRE VERSIONI

Quando la commedia di Verdone esce nelle sale, Alfasud è già alla sua seconda serie. Ce ne sarà anche una terza, fino al 1984, anno di fine produzione. La berlina del Biscione, essendo un'auto di successo, genera innumerevoli versioni diverse. Le più famose rimangono la Ti, che con i suoi due posti secchi strizzava l'occhio ai giovani; la Giardinetta, ovvero la spaziosissima station wagon, svantaggiata dal fatto che negli anni '70 quel segmento veniva visto più come una macchina per il lavoro; e l'Alfasud Sprint, una coupé a 4 posti con caratteristiche per cui gli americani l'avrebbero chiamata fastback.

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UN'AUTO STORICA: PARLANO I NUMERI

Al di là di scioperi e di ruggine sui parafanghi, il valore di Alfasud va rintracciato nel mercato. Un milione e 17mila esemplari venduti in 12 anni, l'Alfa Romeo più acquistata di sempre. Sono dati per cui il Biscione può guardare a questa vettura con orgoglio e soddisfazione. E se in tv passanno Pasquale Amitrano assieme al suo modello, non resta che fare l'unica cosa possibile: lasciarsi andare a una risata.