Era il marzo del 2013 quando Alfa Romeo presentò al Salone di Ginevra l'Alfa Romeo 4C. Una piccola sportiva, anticipata dall'omonima concept del 2011, leggera ed estrema, che montava un piccolo motore turbo a 4 cilindri da 1,75 litri e 240 cavalli capace di esprimere prestazioni esaltanti. Sul numero di gennaio 2014 abbiamo messo alla prova, su strada e in pista, questa Alfa che abbiamo definito "bollente" non solo per le prestazioni, ma anche per il suo carattere indomabile. Ecco la nostra prova, curata da Saverio Villa, in cui raccontavamo l'Alfa Romeo 4C.
Wembley, Inghilterra-Italia 0-1, mentre nell’immaginario collettivo il ragionier Fantozzi è al cinema con le 18 bobine in bianco e nero de “La corazzata Potëmkin”. Stavolta il risultato è altrettanto storico. L’Alfa giocando fuoricasa, cioè in pista, batte, anche in questo caso di strettissima misura, la Lotus, che tra i cordoli è a casa sua. Anzi, di più: se quella nazionale vinse con l’italianissimo “catenaccio”, la 4C mette sotto la Exige S Roadster, provata nello scorso numero di Auto, interpretando meglio il britannicissimo concetto del “poco peso e potenza quanto basta”. Di italiano, in tutto questo, ci sono però furbizia e senso dell’opportunità, perché un progetto costato relativamente poco — partito da una base già pensata dall’ingegnere “da corsa” Gian Paolo Dallara e imperniato sulla produzione in “outsourcing” dei telai in carbonio — sta dando risultati di immagine impagabili in tutto il mondo.
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Alfa Romeo 4C, sportiva "burbera"
Ma la 4C non è affatto un’auto per molti e non solo perché ne verranno costruite 3.500 all’anno, delle quali solo 1.000 resteranno in Italia. Sono sicuramente molti di più quelli che, ogni dodici mesi, potrebbero scaricare 53mila euro e spicci (a salire) sulla scrivania di un concessionario Alfa, ma quanti poi sarebbero capaci di usarla e apprezzarla nel modo giusto? La 4C è tanto bella ed eccitante da vedere, quanto “professionale” e burbera da usare. Salirci, per la verità, è piuttosto facile, ma gia? scendere lo è di meno. Dentro, lo spazio vitale è più che sufficiente per i normotipi, ma non è detto che si trovi un posto per lo smartphone (nessun problema, invece, per un Nokia degli Anni ’90). In manovra occorrono bicipiti, tricipiti e pettorali tonici per girare il volante, perché manca il servosterzo, e sensi da Uomo Ragno, perché la visibilità posteriore è ansiogena e il radar di parcheggio, optional, potrebbe non bastare.
I tumulti del motore, che si agita a pochi centimetri dagli occipiti di chi è a bordo, sono più tormentosi proprio alla velocità autostradale (quella Codice, per lo meno) ed è meglio non guidare quando si è costipati, perché, con uno sterzo dal gioco quasi nullo al centro, ogni starnuto significa una deviazione dalla traiettoria voluta. Certi dettagli interni da Panda, poi, sono un po’ indigesti, perché 53mila euro saranno anche pochi per mettersi dietro un’Aston Martin V12 Vantage in pista, ma sono pur sempre 53mila euro.
Però la 4C è una vera “dream car”, alla quale si può perdonare tanto perché provoca emozioni da “ultras” a chi la vede, ha i cromosomi da auto da corsa e quando si è a gas spianato imprime sulla faccia di chi guida un sorriso estatico, spesso un po’ inebetito e indelebile. E sappiamo bene quanto il buonumore allunghi la vita. Insomma con la 4C adesso l’Alfa ha creato la punta dell’iceberg.
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